E se potessimo cambiare il nostro modo di osservare i problemi, non adottare sempre lo stesso criterio, avere una visione più completa? Una soluzione c’è e che siate medici, economisti, addetti alle vendite o alle pulizie, ingegneri, studenti, postini, baristi o bancari, si chiama Teoria Integrale. È un approccio sviluppato, già negli anni ’70, dal filosofo americano Ken Wilber che identifica un metodo per considerare diverse prospettive attraverso le quali guardare qualsiasi fenomeno. Divenuta negli anni punto di riferimento per diverse discipline, la teoria è oggetto di una conferenza che riunisce centinaia di esperti provenienti da tutto il mondo e alla quale Peoplerise sta prendendo parte come momento di formazione condivisa.
“Quando osserviamo un problema o più in generale un fatto – spiega Alessandro Rossi, uno dei soci di Peoplerise – normalmente usiamo un approccio a noi familiare e lo guardiamo da punti di vista che tendono ad essere sempre gli stessi. La Teoria Integrale ha identificato invece un modello grazie al quale possiamo imparare ad integrare prospettive differenti, che tengano in considerazione contemporaneamente: l’interiorità dell’individuo, i suoi sentimenti, emozioni e idee; quella che viene chiamata l’interiorità della collettività, ossia i valori condivisi tra le persone, l’etica e la cultura specifica di ogni gruppo; l’aspetto esteriore di ogni individuo, ciò che riguarda i fatti oggettivi e scientifici, le caratteristiche del suo corpo e dei suoi comportamenti e in fine l’aspetto esteriore della collettività, ossia i processi, le relazioni, le regole e le relazioni tra soggetti.”
In sostanza la teoria, parte integrante dell’approccio Peoplerise da diversi anni, sostiene che questi elementi si influenzano costantemente e sono aspetti correlati che vanno a creare e condizionare la complessità di ciascuno di noi e delle comunità a cui apparteniamo. Ed infatti Wilber, nel libro “Reinventare le organizzazioni” di Laloux, scrive che la maggior parte delle discipline riconoscono o solo l’aspetto soggettivo o quello puramente oggettivo, mentre adottare l’approccio integrale permetterebbe di “gettare una grande luce su problemi perennemente irrisolti dalle problematiche del corpo/spirito, alla relazione fra la scienza e la spiritualità, al processo stesso dell’evoluzione.”
“Il metodo è molto strutturato e complesso – riprende Alessandro – e consente di analizzare anche i diversi elementi di sviluppo ad esempio cognitivo, emotivo, morale, valoriale, spirituale di ogni singolo in relazione a ciascun contesto. Per questo adottare l’approccio integrale nei nostri progetti ci consente di avere una visione veramente completa e di osservare il quadro di insieme come se fosse tridimensionale. Grazie a questa teoria riusciamo a guidare i nostri clienti per far sì che accedano a nuove risorse interiori e accrescano la loro capacità di accogliere la complessità.”
Buona full immersion integrale quindi ad Alessandro, Antonio, Flavio, Jake e Valentina!