Si sente molto parlare in questo periodo di storytelling, dell’utilizzo delle storie per raccontare, per entrare in contatto, dell’adozione di un approccio che in qualche modo sia coinvolgente. Anche in Peoplerise usiamo il racconto e la narrazione e a volte per ispirare le persone che partecipano ai nostri progetti ci avvaliamo della preziosa collaborazione di Angela Halvorsen Bogo. Angela fa la storyteller per professione ed è estremamente affascinante ascoltare la sua visione su questa che non è solo una tecnica di comunicazione ma un’antica arte nata per generare connessione e forme di apprendimento, oltre all’aspetto razionale.
“Quando racconto una storia – dice infatti – il potere di coinvolgimento della singola persona e del pubblico nel suo insieme va a toccare diversi aspetti e livelli dell’interiorità che vanno oltre il nostro intelletto. È un processo legato alle emozioni, ai sentimenti, all’immaginazione che va da occhi a occhi, da mente a mente, da cuore a cuore. Nel fare storytelling non si fa finta che il pubblico non ci sia, come ad esempio nel teatro, anzi è un atto di grande presenza e di connessione.”
Ascoltare una storia significa avere l’opportunità di scoprire qualcosa che prima non si sapeva, di sentire, riflettere e capire.
“Quando racconto una storia – riprende Angela – sono completamente aperta verso chi è presente. E il potere della connessione con il pubblico è dato dalla volontà di essere totalmente presente e disposta ad accogliere le persone che sono lì. Di fatto, lo storytelling è il rapporto tra lo storyteller e l’ascoltatore. É molto diverso rispetto ad imparare a memoria uno speech o tenere un discorso che ci si è preparati, senza fare una lettura di quello che si sta ricevendo in quel momento dalle persone in fronte o intorno a noi. La differenza sta nel fatto che lo storyteller è in connessione con chi ascolta in un modo molto profondo, include nel suo racconto la risposta che sente arrivare dal pubblico, adatta la storia al momento che sta vivendo e si muove seguendo quello accade, individuando le modalità più appropriate per quel contesto specifico. Questo significa che ad esempio il tono della voce può cambiare, i movimenti possano rallentare. Quindi ogni storia raccontata è diversa perché tutto cambia in base a chi sta ascoltando.”
Pertanto, lo storyteller non è il focus principale. Piuttosto lo sono le persone presenti e la storia condivisa. Per questo motivo la parte di ascolto è fondamentale e chi racconto è solo uno strumento a favore della storia. Ciò che conta sono i contenuti e la loro relazione con chi ascolta. Angela ad esempio sceglie la storia attraverso una serie di intuizioni. Ha un repertorio dal quale attinge e in base alla situazione che deve affrontare può avere delle sensazioni. Ma poi la decisione vera e propria su cosa raccontare la prende quando entra in contatto le persone.
“Quando tu mi ascolti puoi non essere d’accordo con me, posso non piacerti. Non è a questo a cui sono interessata. Io offro la mia storia e il mio ruolo non è di forzare le persone ma di lasciarle libere di sentire. Ora infatti tutti usano la parola storytelling. Ma storytelling per me non significa trovare il modo per manipolare le persone, far comprare loro determinate cose o far pensare loro quello che vogliamo o farle andare contro ad altre persone. Bisogna stare molto attenti a questo aspetto che è molto delicato perché le storie hanno un enorme potere. Per questo le persone dovrebbero farsi delle domande quando ascoltano una storia di qualsiasi tipo e chiedersi ad esempio quale effetto ha avuto su di me? Come mi sento adesso, ispirata, fiduciosa? Più umana o meno, più in connessione o meno?”.
Scopri il lavoro di Angela relativamente allo storytelling e al transformational play