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Big Quit: grande fuga o grande addio?

La chiamano Big Quit, la Grande Fuga dal lavoro, ed è un fenomeno che mi sta preoccupando ed incuriosendo, lo voglio osservare e comprendere bene.

 

Il Dipartimento del Lavoro statunitense ha dichiarato che, partendo da aprile scorso, sono 20 milioni i lavoratori ad aver abbandonato il proprio impiego volontariamente. I settori più colpiti sono quelli della vendita al dettaglio e dell’hospitality.

 

 

Big quit: qualche informazione

 

La Big Quit, nota anche come Great Resignation, è la tendenza in atto dall’inizio del 2021, principalmente (ma è sempre più in espansione nelle altre parti del mondo) negli Stati Uniti, di dipendenti che lasciano volontariamente il loro lavoro.

 

Il termine Great Resignation è stato probabilmente coniato da Anthony Klotz, un professore di management alla Mays Business School della Texas A&M University, che ha previsto questo esodo di massa in arrivo nel maggio 2021.

 

Le dimissioni sono state caratterizzate come risposta alla pandemia COVID-19 e al rifiuto del governo americano di fornire la necessaria protezione ai lavoratori. Altro fattore determinante è la stagnazione dei salari, nonostante l’aumento del costo della vita. Alcuni economisti hanno descritto questo fenomeno come un grande e non ufficialmente dichiarato, sciopero generale. Concomitante e più formale, lo Striketober, un’ondata di scioperi reali con il suo culmine nell’ottobre 2021. Era dagli anni ‘80 del secolo scorso che negli Stati Uniti non accadeva nulla di simile.

 

Tutto ciò avviene nonostante la crisi del sindacato. Negli USA l’appartenenza sindacale è ai minimi storici: meno del 7% dei lavoratori del settore privato è iscritto, la metà rispetto ai primi anni ’80. Il conflitto in atto non è solo con i datori di lavoro, ma anche con le dirigenze sindacali, ritenute troppo moderate e compromesse con il sistema.

 

Cosa accade nel resto del mondo?

 

Anche in Cina si è sviluppato un fenomeno simile, si chiama “Tangping” (stare sdraiati). La “fabbrica del mondo” sta assistendo alla propria versione di “Great Resignation”, con una generazione di giovani proletari disillusi dalle prospettive lavorative e scoraggiati dai salari bassi.

 

Si tratta di una vera e propria disaffezione al lavoro dovuta all’esaurimento fisico e mentale. Come nota il Corriere della Sera in un articolo del 18 ottobre scorso sulle dimissioni post Covid, inserendo anche l’Italia nel fenomeno in atto: “ci si licenzia, in breve, per cercare qualcosa di meglio senza accontentarsi dello stipendio a fine mese. Tempo libero e benessere sembrano battere la mera ragione economica”.

 

E in Italia?

 

Il fenomeno al momento è ridotto.

 

Mancando un mercato del lavoro di pura economia liberista come quello americano, i salari crescono poco e non abbiamo ancora recuperato i livelli occupazionali pre-pandemici. Anzi, tra 2020 e 2021 c’è stato il blocco dei licenziamenti. Nonostante ciò, i cambi vita ci sono anche in Italia e si legano all’organizzazione del lavoro mutata in pandemia e ai rapporti con colleghi e superiori. Le motivazioni sono molteplici, l’ambiente tossico (anti ESG – criteri di Environmental, Social & Governance) non più tollerabile, gli orari di lavoro eccessivi. Oppure l’abbandono totale del lavoro da remoto, cioè meno tempo libero e il ritorno alla vita pendolare.

 

Diversi recruiter e responsabili delle Risorse Umane, segnalano come già in fase di colloquio i candidati chiedano se vi siano garanzie di giorni in smart working o meno, di quali siano le intenzioni ESG, di quali siano le politiche DE&I (Diversity Equity & Inclusion), a dimostrazione di quanto siano mutate le esigenze dei lavoratori e che ora se ne parli senza timore.

 

I dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro ci dicono che nel 2020 ci sono state dimissioni in linea con l’anno precedente. Non dimentichiamo però che il blocco dei licenziamenti ha previsto che le dimissioni fossero effettuate in ambienti tutelati sindacalmente (aspetto che ancora oggi non mette a proprio agio la piccola azienda. Inoltre, la forte presenza della CIG, cassa integrazione, per tutti i settori produttivi ha di fatto congelato il mercato del lavoro. Staremo a vedere cosa accadrà d’ora in poi con tutte le tutele che tornano progressivamente alla normalità.

 

Perchè?

 

La commistione di aiuti governativi, un incremento e una ripresa fulminea di alcuni settori lavorativi, una ripartenza dell’inflazione, ed eccoci nel caos di interi mercati del lavoro. I diretti interessati, forti della tensione del momento, rivendicano, per non soccombere, un nuovo posizionamento lavorativo. La velocità di queste azioni è sostenuta da un mercato del lavoro in pieno riassestamento e forte della fluidità della remunerazione settimanale.

 

La qualità delle condizioni di lavoro per fasce sempre più ampie di popolazione è al limite della marginalizzazione.

 

I lavoratori hanno vissuto tensioni psicologiche molto gravi: paura di non avere nella tana le riserve per farcela, paura della malattia e sofferenza per il grande dolore circostante. Paura di non riuscire a farcela per sé e per i propri cuccioli.

 

Per tutto questo e chissà quanto altro, trovo riduttivo parlare di Big Quit, Grande Fuga o di Grande Dimissione. Trovo più congeniale a questo momento definire quanto sta accadendo, il Grande Addio.

 

Dalla Big Quit al Big Goodbye

 

Sì, Grande Addio, quel saluto che riusciamo ad onorare solo quando con consapevolezza comprendiamo con tutti noi stessi che è arrivato il momento di darci un taglio, dire addio, girare la schiena ed andare verso una nuova meta.

 

Ovvio, chiamandola grande fuga le organizzazioni possono permettersi di guardare a questo fenomeno come fattore esterno dal quale difendersi, cercando colpe da qualche altra parte.

 

Purtroppo, oltre ad essere troppo comoda, questa lettura non produrrà nulla di buono: le persone continueranno ad uscire da quelle organizzazioni che guarderanno fuori e non faranno autocritica dentro. Sì, perché di autocritica si tratta! E non di quella che ci confessiamo in silenzio sul divano di casa leggendo l’ultimo saggio di come dovrebbero funzionare le aziende e che liquidiamo inconsciamente con un “dovrà accadere, ma c’è ancora tempo.”

 

big quit peoplerise

Photo by Mangojuicy 

Lavorare al di fuori del controllo

 

Il Covid19 oltre ad averci fatto molto male, ha messo in movimento, per non dire in subbuglio, l’organismo sociale come non accadeva da tempo. Il full remote working ha contraddistinto ampi momenti di questi ultimi due anni, abbiamo lavorato da casa, al computer, riallacciato relazioni con persone e situazioni che avevamo perso o mai approfondito.

 

E così, di giorno in giorno, abbiamo sperimentato che è possibile scindere il lavoro dall’azienda, la scissione nel concetto di lavoro tra la nostra identità e l’identità aziendale. Non abbiamo più varcato la soglia dell’azienda ogni giorno, non abbiamo più partecipato a riunioni tutti assieme nelle sale riunioni.

 

Non abbiamo più vissuto il controllo presente del capo, non abbiamo più timbrato il cartellino. Abbiamo sperimentato che si può lavorare al di fuori del controllo, abbiamo sperimentato che possiamo prenderci cura del come ci organizziamo per modalità e orari. Abbiamo compreso che i confini ed i limiti sono molto più ridotti di quanto immaginavamo. E soprattutto, abbiamo sperimentato che funziona!

 

Sensazioni che ci hanno indotto verso nuovi ragionamenti, quelli potenti! Quei ragionamenti che iniziano con un bel “come posso…?”. Quelle domande lente che sappiamo bene lavorano dentro e ci aiutano a cambiare profondamente. Per fortuna!

 

Sentire il senso e sentirsi parte

 

Uscire dalla propria organizzazione senza neppure la certezza di un nuovo lavoro ci fa comprendere che non sarà aumentando gli stipendi che questo fenomeno indietreggerà, allungherà l’agonia organizzativa solo per “qualche minuto in più”.

 

Non è neppure una questione di politiche delle Risorse Umane e nemmeno chiamandole People & Culture cambierà qualcosa. Il mondo People non ha mai avuto così tanta tecnologia e politiche di sviluppo a disposizione, anzi forse c’è troppa roba.

 

Le persone, tutte, hanno necessità di essere ascoltate, debbono sentire il senso di ciò che fanno, ed in azienda debbono sentirsi parte.

 

Non perché la mensa diviene più bella o perché il progetto di welfare è più ricco e neppure perché il capo è più gentile. Si, sono tutte aggiunte interessanti, belli da avere. Ma noi vogliamo poter partecipare, vogliamo sentirci parte evolutiva dello scopo aziendale, vogliamo sentire la libertà di dare contributi veri, di partecipare a meeting sensati dove il capo è un leader che sostiene il processo partecipativo, non un capo che alla fine decide e tutto il resto è stato solo teatro.

 

Servono leader visionari e di grande intenzione

 

Per questo credo che il Grande Addio sia una questione seria che può essere risolta solo da Leader visionari, supportati da Leader di grande intenzione.

 

Costerebbe economicamente così poco attivare politiche di senso per gli stakeholder e non solo per gli shareholder! Costerebbe sicuramente meno del ricolorare le mense, del rimpolpare il progetto di welfare, delle elargizioni economiche liberali che durano il minuto in cui appaiono in busta paga.

Certo, serve decidere che si scende, con tutto ciò che ne consegue, dalla sedia gestatoria. (La sedia gestatoria era il trono mobile sul quale il Papa veniva portato a spalla per poter essere visto più facilmente dai fedeli durante le cerimonie pubbliche.)

 

Le azioni per contrastare la Big Quit

 

Ma per chi lo farà sarà un’esperienza così vitale e soddisfacente che si domanderà: ma perché non lo abbiamo fatto prima?

 

Sì! Nella mia attività di consulente e facilitatore di trasformazioni organizzative mi è capitato spesso di osservare la discesa dalla sedia gestatoria e altrettanto spesso ho sentito frasi del tenore: Antonio mi sono domandato come potessimo far diversamente prima!

 

Infatti, scendere da una sedia gestatoria necessita di poche azioni molto semplici, seppur si tratti, simbolicamente di un atto di per sé epocale ed in grado di portare da solo grande trasformazione tutto intorno.

 

Le azioni semplici sono:

  • Provare genuina intenzione altrimenti non ci si alza o peggio si inciampa
  • Sentire che ci si può appoggiare agli altri scendendo gli scalini
  • Comunicare che è finita un’epoca
  • Sapere che i 12 che portavano la sedia ora possono dare un contributo più utile e creativo
  • Imparare a stare alla stessa altezza degli altri e a svolgere con sincerità e spontaneità la propria nuova leadership
  • Ispirare un mondo senza sedie gestatorie
  • Perseguire politiche di sostenibilità diffusa

 

Ora tocca a te

 

L’azienda nella sua essenza è un caleidoscopio di impulsi irripetibili ed al tempo stesso ha radici che ogni anno divengono più profonde. L’azienda è anche un’opera d’arte di biografie e ne emerge una tela organizzativa che è pura la ricchezza, è intelligenza sistemica diffusa. Le persone devono poter vivere organizzazioni più libere, dove possano esprimere le loro volontà e possano prendere decisioni assieme.

 

Dai ora tocca a te! Forza scendi con coraggio quei pochi scalini di quella vecchia sedia, retaggio di un passato che non ha più senso!

 

Per prima cosa cerca di capire come puoi davvero costruire il passo futuro con le tue persone ed evitare la Big Quit nella tua organizzazione.

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