i cambiamenti nel mercato del lavoro
Non è facile individuare un punto di svolta esattamente quando accade. In molti ci stiamo altresì chiedendo se, quanto stiamo osservando in questo momento storico, non sia “finalmente” un segnale di un cambiamento radicale nel mercato del lavoro, che il people management non può ignorare.
Il Financial Time in questi giorni ha infatti scritto: “dopo quarant’anni di predominio del capitale, il potere dei lavoratori sta aumentando?”. Se fosse davvero così, staremmo assistendo ad un cambio di traiettoria epocale nell’economia di tutti i cosiddetti “Paesi ricchi”.
La pandemia, infatti, sta sparigliando molte cose. Dalle pensioni anticipate al ritorno ai luoghi di origine di chi era emigrato nelle grandi metropoli, passando per l’accudimento dei giovani figli psicologicamente a rischio, per effetto del distanziamento sociale nella loro età evolutiva.
Dal 1985 ad oggi, in area OCSE, la rappresentatività delle organizzazioni sindacali era più che dimezzata. Inoltre, la capacità reale degli stipendi è stata meno che proporzionale all’incremento della produttività.
Il riapparire degli scioperi anche in paesi come gli USA, dove il sindacato è comparso in aziende notoriamente non sindacalizzate (Amazon, Starbucks, etc.), è quindi un segnale interessante da considerare.
Non dimentichiamo che il presidente Biden ha promesso di essere “il presidente, da sempre, più vicino ai lavoratori”. La Commissione Europea vuole invece impedire che le organizzazioni della Gig-Economy eludano i diritti minimi al lavoro attraverso l’utilizzo di istituti contrattuali diversi da quelli del lavoro dipendente.
dimissioni e big quit
Francesco Armillei, ricercatore presso il STICERD, in un suo interessante articolo del 25/10/2021, parla inoltre di un notevole aumento delle dimissioni nel secondo trimestre del 2021. In Italia tra aprile e giugno 2021 vi sono stati 2,5 milioni di contratti cessati. Di questi circa 500 mila sono state dimissioni (circa 200 mila donne e 300 mila uomini). L’incremento rispetto al trimestre precedente è stato del 37% e, rispetto al 2019, è più alto comunque del 10%.
Alcuni economisti ritengono che si stia riducendo l’abbondanza di offerta di lavoratori, sia per gli effetti post-pandemici (mi riferisco al tema big quit, creatosi anche a causa di leadership sbagliate), sia per dinamiche demografiche, dovute soprattutto all’invecchiamento della popolazione di lavoratori in area OCSE.
osservazioni sulle funzioni di supporto organizzative
In questi giorni sto effettuando una serie di stakeholder interview assieme ad un cliente nell’ambito di un progetto strategico di re-design culturale ed organizzativo. Mi ha colpito molto la conversazione con la responsabile degli acquisti. Mi ha spiegato come sia la prima volta della sua vita in cui il fatturato potrebbe non arrivare, perché non riuscirà ad approvvigionare i materiali ed i sottoinsiemi necessari alla produzione. Questo nonostante l’importante crescita degli ordini.
Anche nel mondo People ho sentito una preoccupazione simile. Alcune persone di qualità, inserite in processi vitali, stanno infatti lasciando le aziende, proprio nel momento di massima necessità. In particolare, ciò accade proprio al culmine della loro curva di apprendimento nel ruolo specifico, cioè dopo un paio d’anni dal loro inserimento.
Si tratta di funzioni di supporto al processo core che, in modo più o meno efficiente, hanno sempre portato il loro contributo da business partner. Ora sta accadendo che queste funzioni di supporto abbiano in mano il timone quanto, e a volte più di quanto, possano avere i colleghi del business.
Non è più una questione di qualche punto di sconto sul prezzo di un componente. Il fatto è che i componenti potrebbero non arrivare proprio e le linee potrebbero rallentare fino a fermarsi. Non è più una questione di lentezza nel processo di ricerca, di selezione e di onboarding. Questo perché potrebbero non esserci più persone di qualità adeguata che siano disposte a lavorare in quel determinato contesto aziendale.
ma nel people management cosa sta accadendo?
Ciò a cui sto assistendo è una bulimia di approcci e metodologie.
C’è voglia di ammodernare la Employee Experience ed i modelli di Leadership. Quindi è una corsa verso l’Agile, gli OKRs, gli HR analytics, i nuovi modelli organizzativi di alcune organizzazioni di grande successo, il Design Collaborativo. Che sia quest’ultimo Service Design, Design Thinking, Human Service Design, etc.
La trovo una fuga in avanti interessantissima, che indica il sentimento di urgenza che sta vivendo il mondo People. Però, senza una ri-maturazione dei fondamentali, non si eviterà che ci si trovi di fronte a disperati copia-incolla di modelli aziendali altrui. I quali però sono stati sviluppati attraverso un lavoro profondo di cambiamento culturale iniziale, che nelle copie viene a mancare.
Spotify è Spotify! Ci può ispirare giusto a comprendere che, se vogliamo davvero fare qualcosa di innovativo e diverso con le nostre organizzazioni, dobbiamo avviare un lavoro intenzionale ed integrale.
Bisogna offrire ai colleghi lo spazio per riflettere e per cercare il senso del loro agire nell’organizzazione, affinché si sviluppino le skills essenziali, utili a sostenere i propri “perché”. Diventa quindi centrale lavorare ad una cultura che convogli tanti impulsi individuali nella stessa direzione. Infine, con approcci innovativi, unire tutte le stelle in una costellazione che sarà unica e irripetibile.
i modelli consulenziali classici
Un numero ancora esiguo di People leader sente la propria organizzazione pronta ad affrontare temi rifondativi come il Purpose (proposito), la Wholeness (pienezza) e la strategica connessione tra intenzione, co-creazione e messa a terra.
Ma come agire? Bisogna comprendere come muoversi in questo “groviglio” di buzz word (neologismi) e di modelli consulenziali in cui:
- “il pregresso è da gettare, non è compatibile con il modello a 6 o a 8 steps che è stato messo a punto in aziende più fighe.”
- “il risultato è certo: diventare una buzz-organisation.“
- “il cambiamento si fa come diciamo noi!”
le domande per il people management
Trovo che abbia invece più senso per il people management costruire sessioni di dialogo generativo con il proprio CEO e poi con i propri colleghi più stretti. Momenti in cui interrogarsi, osservare e trovare senso rispetto alle dure verità del contesto. Ad esempio chiedendosi:
- Se le persone che fanno la differenza in questa organizzazione cominciassero ad andarsene, cosa accadrebbe? Cosa potremmo fare?
- Perché il tema “persone” è sempre stato per l’azienda una priorità sulla carta, ma in realtà non c’è una reale presa in carico con un ritmo adeguato (come accade invece per tutti gli altri aspetti dell’organizzazione)? Quale potrebbe essere un primo passo per noi sostenibile?
- Come è possibile portare il cambiamento atteso scendendo noi per primi dalla sedia gestatoria? Quanto siamo pronti a fare realmente di utile in tal senso?
- Perché per le attività di people management applichiamo approcci teorici comprati belli e pronti? Perché invece non li disegniamo e sperimentiamo, così come facciamo per il processo core? Cosa dovremmo disegnare o ri-disegnare per primo?
- Senza il coinvolgimento delle persone la realtà non si modifica alla velocità di esecuzione che questo mondo complesso ci chiede. Perché facciamo finta che questo nesso non conti poi così tanto?
riflessioni sulla trasformazione integrale
Credo serva un lavoro nel profondo dell’organizzazione. Un lavoro che faccia emergere le diverse posizioni ed opzioni, stimoli il dibattito, anche acceso, tra i leader, e generi poi assieme, una traiettoria per il convoglio. Senza questo sarà difficile generare quel cambiamento integrale che ora i CEO in parte intuiscono, ma che prestissimo chiederanno alla funzione People senza sconti.
Il mondo People ha la grande opportunità di essere un partner nella leadership rigenerativa che le organizzazioni dovranno sviluppare al più presto. Questo a patto che si focalizzi su domande di leadership reali e contestuali e abbandoni le zone di comfort degli approcci “me-too”.
Il rischio, se non lo farà, sarà che a un certo punto emergerà un futuro così impellente e incompatibile che escluderà dal gioco chi non sarà preparato.
lavorare in profondità nel people management
Il people management dovrebbe lavorare sul Deep (profondo) e non solo sul Big (grande). Il Big è ciò che appare in superficie: Big Quit, Big Data, Big Challenge. Il Deep è la ricerca delle poche cose che danno il senso all’agire in un dato contesto ed in quel momento specifico.
Ecco cari People leader perché diventa essenziale ragionare in modo intenzionale ed integrale!
- Per chi e perché esistiamo come organizzazione?
- Cosa vogliamo essere e come lo vogliamo fare?
- Quali Essential Skills dobbiamo integrare?
- Che modelli ci possono ispirare?
- Quali tempi sono sostenibili per noi?
Perché anche la trasformazione organizzativa ha una sua lievitazione e, se non la rispettiamo per modalità e tempi, ne uscirà una schifezza.
gli apprendimenti utili
In questi anni ho lavorato assieme ai miei colleghi, in molte organizzazioni, e ciò che ho appreso è che:
- senza una chiara domanda di leadership non si va da nessuna parte.
- dare ritmo conta moltissimo, come conta definire il perimetro!
- non ci si può ostinare a lavorare al vertice: l’intera organizzazione deve essere impattata dall’idea di cambiamento.
- i leader fanno la differenza non per le loro certezze, ma per le loro intenzioni, per il loro coraggio di esprimere vulnerabilità rispetto alle sfide organizzative che hanno davanti. Infine, per la loro capacità di ispirare i colleghi anche nell’incertezza.
In questo modo di procedere gli esperti di approcci arrivano dopo! Solo quando avremo capito come funzione People chi, perché, come e cosa vogliamo essere, potremo focalizzarci su metodologie e strumenti utili. Agendo in questo modo non diverremo la brutta copia di nessuno. Diventeremo unici e toccherà agli altri provare a copiarci e per loro sarà difficilissimo, come per noi adesso.