fbpx

Il re-onboarding: oltre l’onboarding

Ho da poco letto un interessante articolo sul benessere organizzativo e, come faccio sempre più spesso, ho provato subito a comprendere i punti di contatto tra la mia esperienza con ciò che ho letto: in questo articolo voglio scrivere di onboarding continuo, quello che io definisco re-onboarding delle persone.

Grazie alla lettura mi sono tornate alla mente alcune belle storie di successo legate al benessere organizzativo ed ho individuato alcuni comportamenti che ora vorrei condividere con voi:

 

1.  Essere sensibili e aver voglia di cogliere i segnali deboli

 

Si tratta di cogliere piccoli, se non quasi impercettibili, segnali di disagio e di sofferenza. Magari notiamo nell’altro comportamenti stizziti, risposte e confronti meno propositivi del solito: la chimica ci dice che qualcosa non va. La difficoltà di lettura di ciò che osserviamo e sentiamo ci suggerisce subdolamente di attendere ancora un po’ per “comprendere” meglio. Peccato che, come per un diga, una piccola crepa può essere riparata velocemente, mentre lo squarcio, una volta aperto, diviene incontenibile.

 

re-onboarding

 

2.    Fare del presidio del benessere organizzativo una delle proprie attività fondamentali

 

Si tratta  di un attività manageriale importante quanto rispettare il budget o mantenere gli impegni presi in performance review con il proprio capo. In realtà molti guardano a queste attività con un certo sorrisetto, divertendosi a definirle come quelle cose che male non fanno, purché non facciano perdere tempo e sopratutto non prendano spazio nella stanza dei bottoni dove, invece, si deve parlare di numeri, di risultati, di crisi, di piani straordinari: insomma lì conta chi sfoggia il numero più lungo e complicato.

 

Le stesse persone, con lo stesso sorrisetto, sempre con i loro numeri in testa, arrivano nei nostri incontri per affrontare tematiche di engagement. A volte viene da domandarsi per quale strano gioco del destino siano lì. La grande soddisfazione è vedere poi come, una percentuale importante di loro, comprenda presto l’utilità di lavorare anche su una parte meno sviluppata, che consiste nelle competenze manageriali. È, ahimè, invece molto più triste vedere i risultati meno positivi di chi dell’engagement continua a non interessarsi.

 

3.     Gestire ogni giorno l’onboarding: fare re-onboarding

 

Sul piano delle emozioni e del sentimento, l’asimmetria tra chi è a disagio e chi prova ad aiutare può divenire veramente notevole.

Per il capo cogliere il disagio significa aver voglia, magari per l’ennesima volta,  di sentire questo scontento. Non sempre, però, si ha voglia di confrontarci con gli effetti di questo malessere.  Per il collaboratore il disagio è tutto lì, pare che la quadratura astrale sia assolutamente infausta, non vorrebbe parlarne, ma tutti i suoi pori ne parlano. È stato dimostrato che una percentuale elevata  di CV viene inviata agli Head Hunter in questi momenti.

Questo è il  motivo per cui sorrido pensando che, spesso, l’unico onboarding che riusciamo a concepire è rappresentato da una serie di attività riconducibili ai primi giorni di un nuovo inserimento in azienda.

Ma se onboarding significa mettere a bordo, sul piano di engagement e sul piano di ruolo, un capo dovrebbe avere a che fare ogni giorno con l’onboarding.

Perché il compito più importante di un capo è aver con sé le risorse più ingaggiate e più preparate. Questo per far accadere assieme a loro ciò che l’organizzazione si attende ed anche perché no, per stupirla un po’.

 

Questo per me è re-onboarding.

 

Condividimi!

Contattaci
Tutti gli articoli