Appartenenze multiple ed esperienza in azienda: in che modo possiamo possiamo valorizzarle? È la domanda che ha stimolato la conversazione tra Flavio Fabiani, Elena Crudo (Peoplerise) e Sergio Caredda nella diretta di Let’s Peoplerise with….
Molto spesso identifichiamo il concetto di diversità soltanto con una lente, che può essere la lente del genere, piuttosto che quella dell’orientamento sessuale, la lente delle disabilità o quella dell’età, ad esempio, mentre in realtà ognuno di noi appartiene a diversi “attributi”, che fanno proprio la nostra unicità individuale.
E questa cosa ha un impatto nelle organizzazioni molto importante, perché molto spesso ci concentriamo sugli aspetti più esteriori, ma l’appartenenza multipla all’organizzazione significa anche appartenere a una famiglia professionale, ad esempio._S. Caredda
Una visione che integra il significato delle appartenenze multiple a livello personale, con quello assunto nel contesto delle organizzazioni.
Nel dialogo è emerso come il tema delle appartenenze multiple ci riporti al concetto di intersezionalità, intesa come il modo in cui diverse categorie biologiche, sociali e culturali (come genere, etnia, classe sociale, disabilità, orientamento sessuale, religione, età, nazionalità, neurodivergenze, e altre) si incrociano a diversi livelli. Ciò influenza le esperienze individuali in termini di discriminazione, oppressione o privilegio. Queste caratteristiche guidano il modo in cui la persona stessa percepisce e interpreta lo spazio che vive.
Una visione intersezionale è quindi fondamentale per comprendere la complessità delle identità individuali all’interno delle organizzazioni.
Quali sono le implicazioni pratiche della co-esistenza di appartenenze multiple?
La co-esistenza di appartenenze multiple in azienda ci mette nella posizione di dover rifocalizzare il modo in cui essa viene organizzata. Questa prospettiva mette in crisi alcuni aspetti che sino a qualche tempo fa sono stati gli unici possibili.
- La prima implicazione pratica è la necessità di ripensare al design dell’organizzazione. Infatti, deve essere pensata come uno spazio abilitante al pensiero alternativo a quello maggioritario. La costruzione di spazi differenti ha implicazioni pragmatiche sugli assetti organizzativi. Questi devono essere dunque osservati e disegnati in modo da divenire luoghi di crescita e libertà per tutte le persone, dove la creatività possa emergere al fine di migliorare i processi. Questo aspetto inizia a farsi spazio con la scuola delle Human Relations o concetti come l’intelligenza emotiva. Quindi, aspetti che prima sarebbero stati confinati fuori dalla sfera professionale, ora diventano centrali e devono trovare un luogo di espressione adatto.
- Per fare questo diventa essenziale lavorare su un secondo aspetto di trasformazione: far evolvere la managerialità. Nonostante il ruolo manageriale un tempo abbia avuto un ruolo prettamente verticale e specialistico (tecnico), oggi è necessario sviluppare competenze in modo trasversale. In questo caso è richiesto lo sviluppo di una spiccata competenza di valorizzazione delle differenze. Solo se la competenza e la responsabilità di creare spazi abilitanti al pensiero divengono diffuse allora le politiche di diversity possono avere successo. Un’evidenza di successo delle politiche di diversity è la presenza di team caratterizzati dall’intersezione di appartenenze multiple. Team eterogenei in questo modo divengono anche più funzionali, perchè molteplici sono i punti di vista.
- Questi due primi passi favoriscono una cultura organizzativa inclusiva e coesa che rispetti l’unicità di ogni individuo, riconoscendo e valorizzando le diverse appartenenze e identità, promuovendo attivamente la diversità e l’inclusione come valori fondamentali. Questa cultura non solo migliora la motivazione e l’engagement dei dipendenti ma serve anche come fondamento per una performance organizzativa sostenibile e innovativa. La sfida è mantenere coerenza tra i valori promossi dall’organizzazione e le pratiche quotidiane all’interno dell’azienda e comprendere come trasporre tali valori culturali e pratiche, in caso di contesti internazionali diversi. Come? Tramite la promozione del dialogo aperto, la creazione di spazi sicuri per la condivisione delle esperienze e l’implementazione di politiche che riconoscano e supportino le diverse esigenze delle persone nelle organizzazioni.
- Infine, un aspetto da non sottovalutare e da tenere in considerazione è il significato che le persone danno al proprio lavoro: non è uguale per tutte. Alcune persone possono credere fortemente nel proposito aziendale, altre, non identificandosi con un proposito significativo, possono ritenere il lavoro un mezzo per la sussistenza, però magari fanno volontariato da un’altra parte, perché è lì che riescono a sfruttare meglio alcuni aspetti della loro appartenenza. Tutto questo è fa parte della ricchezza che portiano dentro le organizzazioni e che dobbiamo in qualche modo tutelare. Quindi, osservare e accogliere anche queste differenze permette al management di trattare con rispetto anche la scelta di portare solo alcune delle proprie appartenenze in azienda.
Prospettive alle appartenenze multiple e all’intersezionalità
Per valorizzare le appartenenze multiple l’organizzazione deve approcciarsi alla realtà con sguardo critico. L’obiettivo è di uscire dal tipico approccio ingegneristico, che sino a qualche tempo fa ha caratterizzato la maggior parte delle aziende.
È importante integrare lenti diverse, per evitare di agire sulle appartenenze in modo indipendente e a silos. Un approccio semplicistico non permetterebbe di cogliere la complessità e l’intersezionalità fra le appartenenze che sono mutualmente connesse fra loro.
Lo sguardo volto a cogliere l’intersezionalità fra le appartenenze permette di limitare un approccio diretto alla sola misurazione delle rappresentanze nella popolazione. Per questo semplificare lo sguardo permette di riconoscere ogni persona per quello che è e per come si inserisce nel contesto organizzativo.
Chi è garante della molteplicità? Il ruolo di diversity manager
Il ruolo di diversity manager deve essere verticale per porre la giusta attenzione alle molteplicità di appartenenza e alle risorse dedicate a temi cruciali come l’inclusione e la gestione della diversità. Tuttavia non può essere la unica figura responsabile e custode della diversità e dell’inclusione. La tendenza a isolare la responsabilità della gestione della diversità in una singola figura o dipartimento può, infatti, non essere sempre efficace. Questo approccio può portare a risultati meno significativi rispetto a quelli ottenuti quando la tematica della diversità è integrata in modo più diffuso e condiviso tra tutti i livelli di responsabilità.
Attraverso il suo ruolo il suo obiettivo dev’essere, quindi, di fornire gli strumenti a tutto il management per lavorare sull’inclusione dei diversi team. Questo impegno si traduce in pratiche di leadership inclusive nel quotidiano, formazione continua e sviluppo di una cultura organizzativa che valorizzi la diversità in tutte le sue forme. In questo modo la specializzazione, nell’integrazione con le altre specializzazioni, acquisisce tutto il suo valore potenziale.
Il ruolo del manager è valorizzare l’unicità delle persone, perché ogni contributo che queste persone danno nel team e sul lavoro vale in quanto unico.
_S. Caredda
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